Gestione del coronavirus: un altro fallimento targato Unione europea

Roma, 3 mar – Vedrete che da adesso in poi, ossia da quando Ursula Von Der Leyen ha deciso che sono necessarie “numerose azioni sfaccettate e complicate”, l’emergenza epidemia coronavirus rientrerà. È tipico degli eurocrati: affidare al super Stato la questione fondamentale del momento senza avere minimamente il polso della situazione, e dunque finire per emanare il solito decretino, il solito regolamentino, il solito codice che varrà erga omnes pena procedimento di infrazione. Mettersi nei panni altrui non è cosa da burocrate. Impantanare la realtà già di per sé complicata è invece tipico del legislatore che l’attualità la vive da dietro il suo microscopio, ingrandendola a piacimento senza però capirne la frenesia, il movimento, le necessità.

È per questo che l’Unione europea di oggi è detestata da chiunque abbia un senso minimo di libertà e avverta l’oppressione della camicia di forza che i magnifici trattati impongono. Già lo Stato italiano pesa sulle nostre spalle da un punto di vista fiscale e burocratico, inventandosi metodi nuove e sempre più efficaci per far piombare la vita dei cittadini nelle sabbie mobili. Ogni tanto, anzi spesso, si sveglia con trovate geniali come le commissioni parlamentari create ad hoc per vigilare sull’odio e il razzismo, chiaramente partorite durante governi di sinistra, creando un incubo stile Le vite degli altri in cui la delazione del vicino di casa garantisce una medaglia. È proprio come ha detto Michel Houellebecq: quando la sinistra governa, vi è molto più controllo sulla popolazione. Non a caso, l’europeismo cieco e coi paraocchi eccita febbrilmente la galassia liberal che, dalle Americhe all’Europa, sogna una grande internazionale socialista che sostituirà l’Occidente petit blanche, sempre per dirla alla Houellebecq, con un altro paradigma di società e di vita.

Erasmus e numerini

La distruzione delle patrie, la demonizzazione dei sentimenti patriottici che vengono accostati al nazismo, sono utili alla creazione di quella mentalità un po’ cazzona che è l’Erasmus come stile vita, il girovagare fino a perdere le radici, il vagabondaggio che distrugge ogni passato. Sino a giungere alla acritica accettazione dei meccanismi di controllo che variano dalla moneta unica (la competizione tra più monete faceva schifo?) al numerino nato da un trattato e che si applica unitamente a molte economie tutte diverse tra loro, con l’unico risultato certo di asfaltarne alcune. Il paradosso, il paradosso italiano, è che il nostro debito pubblico supera il 60% del Pil, e dunque dovremmo ridurlo di 60-70 miliardi ogni anni. Lo dicono i trattati. Lo chiede l’Europa. Si tratterebbe di un’operazione di macelleria insostenibile, tant’è che l’Italia sfora ampiamente questi parametri da molti anni senza porvi rimedio poiché il rimedio è inesistente. O almeno lo è quello previsto da Mamma Ue.

Perché non fermare gli sbarchi?

Un’Europa che intendesse mostrare saggezza, avrebbe indubbiamente chiesto al governo italiano di sigillare i suoi confini marittimi dato che per estensione sono i confini di tutti, poiché se si deve combattere un virus a suon di quarantene, solo un pazzo può ritenere intelligente spalancare le porte ad una miriade di clandestini che già in passato hanno importato vecchie malattie di cui non sentivamo parlare da molti anni. Ci attende invece il burocratese infinito delle infinite raccomandazioni. Visto che già i burocrati nostrani si trovano talmente distanti dalla realtà dei contagi da prendere decisioni insensate col sorriso ebete di chi cerca le copertine patinate. Vedi Nardella, che a Firenze ha offerto i musei gratis la domenica. Perché nella vocabolario burocratese, un virus si combatte con la cultura. Come Renzi, che intendeva combattere il terrorismo islamico coi libri. Perché la verità finale è che se tutti loro si sedessero sui libri che hanno letto durante la loro carriera da burocrati, col culo toccherebbero per terra.

Lorenzo Zuppini

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