Pietro Senaldi contro Nicola Zingaretti: “C’è il coronavirus e il Pd pensa a insultare Matteo Salvini”

Quando si dice il senso delle priorità. La dote principale di un politico è saper leggere le situazioni, comprendere i problemi del Paese e le angosce dei cittadini e quindi dare risposte pratiche e risolutive. Non proporre o farsi bello, né tanto meno accusare, bensì rassicurare e agire. Per questo il segretario dem, Nicola Zingaretti, non è un leader, perché fa quello che non serve e difetta in ciò che sarebbe utile. Mentre gli italiani sono terrorizzati dal coronavirus, il fratello di Montalbano se la fa ancora sotto per Salvini, anche se al governo ora c’ è lui e non il capo della Lega. Ieri il presidente della Regione Lazio, per chi ancora si ricorda che ricopre questo ruolo, ha riunito l’ assemblea del suo partito.

Sull’ influenza cinese si è fatto i complimenti, ricordando di essere stato il primo a precipitarsi all’ ospedale Spallanzani di Roma, quando tre dottoresse, tra cui una precaria, avevano isolato il virus. Poi, ritenendo di aver fatto il suo contro la pandemia, è tornato a concentrarsi su ciò che gli sta a cuore: cancellare i decreti Salvini sula sicurezza e attaccare l’ ex ministro dell’ Interno. Perfino Renzi, uno che non è solito mollare l’ osso, si è fermato davanti al virus e ha smesso di rompere le scatole al suo nemico numero uno, Conte, tendendo la mano e offrendo solidarietà. Ma Zingaretti no, procede immune a ogni ragionevolezza. Si è fatto vaccinare contro il buon senso e il senso del ridicolo, che infatti gli girano al largo. «In questo momento è necessario superare senza se e senza ma i decreti propagandistici di Salvini. Di sicurezza lì non c’ è nulla, sono stati creati per la paura. Io propongo che questo governo lanci i decreti per la vivibilità»: così il segretario ha arringato la platea dem.


OTTUSITÀ GIALLOROSSA
 Ecco perché l’ uomo riesce ad andare d’ accordo con Conte e i grillini ed è apprezzato dalla maggioranza del suo partito. Non solo perché non conta nulla, come pensavamo, ma anche perché incarna alla perfezione l’ ottusità e la faziosità dei giallorossi. Ne rappresenta la sintesi. Quando si presentò il coronavirus e i governatori leghisti del Nord chiesero la quarantena per chi veniva dalla Cina, Zingaretti e i suoi amici ne approfittarono per insultarli. Fecero la guerra al razzismo che non c’ era, perché si trattava solo di una misura prudenziale da applicare in base a dove si erano passate le ultime settimane e non alla cittadinanza, anziché all’ influenza che invece esisteva e si è potuta liberamente propagare soprattutto grazie al fatto che il governo ha minimizzato il rischio epidemia.

I veri sciacalli del virus sono stati giallorossi, continuando a dire agli italiani di stare tranquilli e a criminalizzare chi invece li metteva in guardia. Conte dichiarò pubblicamente in conferenza stampa che «non c’ erano ragioni di allarme sociale e che il governo non si è fatto trovare impreparato e l’ Italia è il Paese europeo che ha adottato le misure più rigorose per proteggere i cittadini». Per farsi pubblicità ha raccontato storie, gareggiando con il premier cinese Xi Jinping su chi nascondeva meglio la verità. I casi sono due: o ha mentito, o non ha capito nulla. In entrambi, dovrebbe cospargersi il capo di cenere e prendersi le sue responsabilità. Quanto a Zingaretti, socio forte del governo, anziché attaccare Salvini o Renzi, come ha fatto anche ieri sottolineando che lui «non lancia ultimatum come altri ma proposte», dovrebbe puntare l’ indice contro il premier. Se, come dicono, è tentato dall’ idea di andare a votare, questo è il momento buono. Invece no, il segretario dem ha in testa Salvini e, mentre tutta l’ Italia si prepara alla quarantena, lui vuole legiferare perché si riaprano i porti, malgrado ci sia il rischio di importare il coronavirus anche dall’ Africa. Ma evidentemente l’ influenza non ci basta, il Pd punta a farci diventare il lazzaretto del mondo. Forse perché così gli italiani non si accorgeranno che gli infettati sono proprio i dem, nel cervello. Untori di cavolate in serie.

di Pietro Senaldi

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