Piangiamo gli italiani infoibati. Tito li sterminò ma vanta ancora quell’onorificenza burocratica e vile

I massacrati, gettati a decine di migliaia nelle Foibe dalle truppe di Tito, vilipesi dall’Associazione Partigiani. Ma il loro carnefice resta insignito della più alta onorificenza della Nazione. E’ tuttora Cavaliere di Gran Croce decorato di gran cordone al merito della Repubblica italiana. Al merito, capito?

A Tito fu concessa, e sta ancora là, quell’onorificenza che si riconosce per altissime benemerenze a persone eminenti, italiane e straniere. Di solito è riservata ai capi di Stato. A uno solo è stata revocata nella storia, al presidente della Siria Assad. Non essendo stato ammazzato dall’Isis, la burocrazia poté notificargli il ritiro del prestigioso riconoscimento. A Tito no, perché è morto.

Roba bestiale, che fa accapponare la pelle. Quando il presidente Saragat, nel 1969, conferì la Gran Croce al boia jugoslavo si era ancora lontani dalla verità affermata persino per legge, con l’approvazione della proposta Menia istitutiva del Giorno del Ricordo. In quel tempo c’era stata la primavera di Praga. C’era stato l’infausto trattato di pace. Tito faceva e disponeva.

Tito ancora decorato perché è morto, dicono…

Eppure, quell’offesa ai martiri delle foibe, agli uomini e alle donne dell’esodo, ai loro familiari, resta ancora lì, sul sito del Quirinale. Perché una burocrazia sorda alle lacrime di chi ancora piange ha trasformato il maresciallo Tito in un eroe incancellabile dalle onorificenze italiane.

Non sappiamo quanti conoscono questa storia che è affrescata nelle proposte di legge presentate per Fratelli d’Italia da De Carlo alla Camera e da Ciriani al Senato. (Anche il leghista Panizzut ne ha depositata successivamente una simile a Montecitorio). Tutte con unico filo conduttore: per togliere di mezzo questo scandalo bisogna scrivere che l’onorificenza può essere revocata anche ai defunti. Sapete perché? I morti non possono fare ricorso e quindi ci dobbiamo tenere la Gran Croce di Tito se non si modificano le norme vigenti. Chissà quale ricorso dovrebbero invece presentare gli italiani infoibati dalla pulizia etnica del macellaio di Belgrado…

Ovviamente né alla Camera né al Senato le proposte di legge assegnate alle commissioni competenti hanno fatto passi in avanti. Domani ascolteremo tanta retorica da istituzioni sorde e quei parlamentari che si sono esposti pure agli strali dell’Anpi continueranno a non avere risposta alla loro domanda di decenza e dignità nazionale.

Fate pulizia di chi massacrò gli italiani

Persino Giorgio Napolitano, da Capo dello Stato, nel 2007, parlò di “un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica”. E Mattarella, sempre dal Colle: la legge contribuì a “sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale”. E che “non c’è posto per l’estremismo nazionalista, gli odi razziali e le pulizie etniche”. Presidente, perché ci deve essere però ancora posto per quel criminale slavo sul sito del Quirinale? Levategliela e basta, quella Gran Croce, nessuno farà ricorso al Tar vogliamo sperare…

Fare pulizia di chi ha insanguinato l’Italia. Non ricorrere all’armamentario burocratico per evitare di fare i conti con quella storia. Rispettare vittime ed eredi. Questo ci aspettiamo dalla Repubblica nel Giorno del Ricordo. È la giustizia che va resa a quanti furono assassinati solo perché erano italiani. Patrioti.

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