L’Istat inchioda il governo: “Il Paese frena, Pil a -0,3%”

La politica economica del governo giallorosso sta dispiegando i primi effetti: il Pil italiano nell’ultimo trimestre del 2019 si è contratto dello 0,3% rispetto al periodo luglio-settembre, mentre la variazione tendenziale è stata nulla.

La flessione, molto peggiore rispetto alle previsioni degli analisti (il consensus si attestava a +0,1% trimestre su trimestre), è la peggiore dal 2013 e porta la variazione del prodotto interno lordo nell’intero 2019 al +0,2%, un dato sostanzialmente in linea con le attese del governo. Nel comunicare i dati preliminari l’Istat ha spiegato che il calo è stato determinato da una diminuzione del valore aggiunto sia nel comparto agricoltura sia in quello dell’industria, mentre i servizi hanno registrato una variazione nulla. Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto positivo della componente estera.

Il quadro macroeconomico italiano è, perciò, abbastanza compromesso. In primo luogo, l’industria e, con lei, l’agricoltura stanno sostanzialmente implodendo, anche se l’accordo tra Usa e Cina sui dazi potrebbe mitigare la contrazione spingendo ulteriormente l’export. Occorre ricordare, infatti, che nel corso del 2019, in ben tre trimestri su quattro, l’attività manifatturiera ha registrato una diminuzione. Ne consegue che l’anno in corso si apre nel segno di questo trend fortemente negativo. Ecco perché secondo Paolo Mameli, economista di Intesa Sanpaolo, «la debole chiusura del 2019 lascia un’eredità negativa al nuovo anno: anche ipotizzando un recupero nel corso del 2020, continuiamo a ritenere che la crescita media annua possa risultare solo marginalmente più forte» rispetto a quella dell’anno scorso al +0,2%, tre decimi di punto sotto la stima del governo.

Il report dell’Istat, inoltre, lascia supporre una flessione delle scorte (cioè dei fondi di magazzino) dalla quale derivano due implicazioni. In primis, i consumi interni dovrebbero essere stati sostanzialmente resilienti «mangiando» quello che dettaglianti e grossisti avevano messo da parte. In secondo luogo, la ricostituzione delle scorte dovrebbe provocare una ripresa dell’attività industriale. Da queste considerazioni nasce l’ottimismo del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. «Prevediamo un rimbalzo per il primo trimestre 2020 e siamo ancora più determinati a lavorare per implementare il nostro programma al sostegno alla crescita e agli investimenti», ha dichiarato aggiungendo di essere fiducioso che «le misure prese concorreranno a un rilancio della crescita e dell’occupazione».

Ma quanto vale questo «rimbalzo»? Secondo Loredana Federico, capo economista Italia di Unicredit, la crescita nel primo trimestre dell’anno dovrebbe attestarsi al +0,1% su base congiunturale trainata dai consumi interni e da una ripresina degli investimenti nel settore costruzioni. Cifre modeste comunque perché anche per Piazza Gae Aulenti dovrebbe aumentare dello 0,2% quest’anno.

Queste osservazioni consentono di avanzare una critica fondata alla politica economica del governo. La modesta crescita, infatti, pare sostenuta dalle politiche assistenzialistiche come reddito e pensioni di cittadinanza che sostengono in qualche modo i consumi. Le costose misure (inclusi i pensionamenti anticipati per quota 100 quando non rimpiazzati da posti di lavoro) sono in parte finanziate da aumenti della pressione fiscale che deprimono tutta l’economia e, in particolare l’industria. Ultimo ma non meno importante: se il Pil dovesse crescere meno del previsto, salterà l’obiettivo di un deficit/Pil al 2,2% e Bruxelles tornerà a chiedere manovre correttive che acuiranno ulteriormente i problemi del sistema. Anche perché in una simile situazione una riforma dell’Irpef sarebbe impossibile a meno di aggravi su altre forme di prelievo che, di fatto, la depotenzierebbero.

il giornale.it

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