Ammazza la ex moglie, poi la mette in un sacco: marocchino all’ergastolo

Uccise la moglie e occultò il cadavere in un sacco nero. Con questa accusa, la Corte d’assise ha condannato all’ergastolo Abelmijid El Biti, 51enne di nazionalità marocchina, artefice della scomparsa di Souad Alloumi, 28 anni, originaria del Marocco.

Il corpo di Souad non è mai stato ritrovato. E il marito – “ex”, in quanto erano già in fase di separazione – ha sempre negato di aver commesso il truce delitto. Così come ha negato che in quel borsone nero, trascinato a fatica fuori dall’abitazione della donna, in via Milano a Brescia, nel cuore della notte per giunta, contenesse il cadavere della vittima. Ma la versione di El Biti non ha mai convinto gli inquirenti. E lo scorso venerdì 6 dicembre, l’emissione della condanna esemplare fuga ogni ragionevole dubbio. “Omicidio volontario”, si legge nella sentenza a firma del magistrato Spanò.

I fatti risalgono alla notte tra il 3 e il 4 giugno del 2018. Alle 23.56 della sera, il marocchino entra nella casa della ex moglie, Souad Alloumi, insieme ai figli, Jasmine di 8 anni e Adam di 3. Il 51enne, che vive a Seniga, ha appena riaccompagnato i bambini a casa dopo esser stato a cena con loro. Passano diverse ore, troppe, prima che lasci quella abitazione. Le telecamere di sorveglianza del bar Le Rose, adiacente alla palazzina di via Milano, riprendono l’uomo all’esterno del cortile alle 4.46 mentre trasporta “con forza un grande borsone nero molto pesante”. La donna invece, non rimetterà mai più piede fuori dall’uscio di quel piccolo monolocale. Nessuno l’ha più vista né sentita.

A lanciare l’allarme della “misteriosa sparizione” di Souad, sono proprio i due figli preoccupati di non aver trovato la loro mamma al risveglio. Soli e in preda alla disperazione, i fratellini si rivolgono ai vicini per chiedere aiuto, gli stessi che poi sono costretti a segnalare l’accaduto alle forze dell’ordine. Da quel momento, cominciano le ricerche (infruttuose) della donna e le investigazioni approfondite del caso. Col trascorrere dei giorni, comincia a delinearsi uno scenario ambiguo, macabro e delittuoso. El Biti finisce nel registro degli indagati. Vi rimane finché gli inquirenti non visionano i nastri delle telecamere di sorveglianza. È lui l’unico ad essere entrato in quella abitazione ed è lui ad esserne uscito ad un’ora improbabile della notte trascinando faticosamente una sacca da palestra nera. L’equazione è semplice: l’ha strangolata ed ha nascosto il corpo con l’intenzione di disfarsene da qualche parte. Ad avallare questa ipotesi, ci sono degli strani segni che l’uomo ha sulle braccia, graffi profondi che presumibilmente Suad gli avrebbe inferto nel tentativo disperato di liberarsi dalla morsa soffocante. Il 51enne finisce dietro le sbarre a Bergamo con l’accusa di omicidio.

Ciononostante, il marocchino continua a proclamarsi innocente sostenendo che la donna abbia scelto di allontanarsi volontariamente abbandonando, per giunta, i suoi figli. Quanto al sacco, invece, – a suo dire – avrebbe contenuto solo giocattoli, vestiti e cianfrusaglie varie. Ma anche quello non è stato mai più ritrovato, disseminato chissà dove. Non lo ha mai rivelato. In aggiunta alle prove video, vi è poi la testimonianza di Jasmine che, a soli 10 anni, rende ai giudici una lucida ricostruzione dell’accaduto ipotizzando persino che il padre li abbia storditi con del sonnifero nella minestra quando poche ore prima hanno cenato nella sua casa di Seniga. “Quando siamo arrivati da mamma – dice – mi sono tolta solo le scarpe e mi sono addormentata subito. Penso che abbia messo qualcosa, un sonnifero, nella minestra mia e di mio fratello”. La bambina non sembra avere dubbi. “È stato lui a farle del male perché la picchiava sempre – continua – e anche a me, a volte, con il bastone, quando non studiavo. Mamma non reagiva, altrimenti l’avrebbe colpita di più. Mio fratello gli ha morsicato una mano, una volta, per farlo smettere”. Le dichiarazioni della piccola inchiodano definitivamente El Biti.

Così, due giorni fa, ad un anno e mezzo circa da quella terribile notte del 4 giugno, il marocchino è stato dichiarato colpevole di omicidio volontario, con la pena dell’ergastolo, dalla Corte d’assise. “Aveva pianificato tutto e quella notte è passato all’azione. Il delitto si è consumato nel piccolo appartamento dove viveva Souad, che è stata strangolata alla presenza dei bambini” ha spiegato in aula il magistrato. “Le telecamere che hanno ripreso l’uomo dimostrano che si è cambiato gli abiti durante la notte e in auto aveva tutto il necessario. Dal cappello per camuffarsi, alla tuta e al sacco dove ha messo il corpo senza vita della moglie. Le sporgenze del borsone fanno capire la sagoma delle ginocchia della vittima”.

il giornale.it

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