Campi rom, la grande idea Pd: per chiuderne uno, ne apre due

Ricordate il motto di una nota pubblicità, “Two gusti is meglio che one“? Il principio può essere valido, e ha fatto la fortuna del gelato in questione. Ma appare uno smacco se applicato alla gestione cittadina dei campi nomadi.

Il parallelo è ironico, ma calzante. A Bologna infatti il centrosinistra per chiudere un’area sosta ne aprirà due (a spese dei contribuenti) in altrettante zone dello stesso quartiere. Due accampamenti al prezzo di uno. Un affare.

Era il lontano 23 dicembre 1990 quando la banda della Uno Bianca crivellò di colpi un campo nomadi in via Gobetti a Bologna. I killer uccisero due Sinti, ferirono una bambina e una rom. Dopo l’eccidio, la città creò un’area sosta per nomadi in via Erbosa. Il campo nel 1996 fu classificato come temporaneo, doveva durare il tempo dell’emergenza. Ma dopo trenta anni è ancora lì, con tutto il carico di degrado, spazzatura e spese a carico dei contribuenti. Le utenze sono a carico dei cittadini, così come l’acqua. Dal 2011 a oggi il conto si aggira intorno ai 900mila euro. E i nomadi sono morosi per almeno altro 70mila. L’area è disseminata di rifiuti, auto abbandonate e oggetti vari. “Nulla di questo è rubato”, assicura un nomade. Ma i residenti del quartiere Navile sono esasperati, chiedono una soluzione che il centrosinistra studia almeno dal 2014. La toppa però è peggiore del buco. “Avevamo un campo nomadi, ora ne nasceranno due”, sospirano delusi gli abitanti (guarda il video). Bologna, il Pd “moltiplica” i campi nomadiPubblica sul tuo sito

A ottobre del 2017 il Comune emiliano approva il Programma per l’individuazione delle microaree familiari Rom e Sinti. Il nome è altisontante, ma dietro – dice Marco Lisei, consigliere di Fdi – “si nasconde la fregatura”. Il piano definisce le grandi aree sosta una “fonte di disagio per la cittadinanza” (verissimo) e di “esclusione sociale per chi vi risiede”. Vanno superate. Per farlo, tra la “pluralità di soluzioni” indicate dalla legge regionale (approvata dalla ditta Pd “Bonacini&co”), Merola sceglie di puntare sulla creazione di “microaree familiari pubbliche e private”. In sostanza il campo nomadi verrà diviso per crearne due di dimensioni minori “con le caratteristiche proprie dei campi già presenti nelle aree comunali” (sic!). Nella sostanza, quindi, cambia poco o nulla: i Sinti abiteranno ancora nelle case mobili, ma in microaree “di dimensioni atte all’accoglimento di massimo 4 famiglie su un’unica area asfaltata”. In totale 15 persone. “Il disagio così lo polverizzi – ragiona un residente – Stai moltiplicando il problema. Ed è pure peggio”.

Per gli abitanti del Navile la notizia è un colpo doppio. A ottobre 2017 il consiglio di quartiere delibera l’approvazione del Programma sinti proposto dal Comune. Le aree indivuate sono due, una in via della Selva Pescarola e l’altra in via del Gomito. I cittadini insorgono. Una raccolta firme costringe l’amministrazione a incontrare i residenti, ma ormai il piano è approvato. C’è poco da fare. L’opera delle due microaree ottiene un finanziamento dalla regione Emilia Romagna di 250mila euro, più altri 63mila messi a disposizione dal Comune. Totale: 313mila euro. È vero: nella microarea le famiglie Sinti dovranno pagare un canone mensile (come quello per le case popolari), firmeranno una convenzione, dovranno “provvedere al regolare pagamento delle utenze”, “mantenere corretti rapporti di vicinato” e “effettuare la manutenzione ordinaria della microarea”. La domanda dei residenti è: lo faranno? A giudicare dalla condizione dell’area sosta di via Erbosa, e dalla morosità nel pagamento delle quote, i dubbi sono legittimi. “È una pia illusione”, dice Umberto Bosco, consigliere leghista. Gli fa eco un residente: “Se non pagavano in passato, perché dovrebbero iniziare adesso?”.

(infografica di Alberto Bellotto)

La preoccupazione per i “nuovi vicini” è palpabile. “Abbiamo paura dei furti”, spiega una signora. Ma anche che il degrado e “il rusco” li investa come in via Erbosa. “Si guardi attorno: come posso essere ottimista?”. Il Comune assicura che le “le microaree pubbliche” saranno a “uso speciale e temporaneo”, solo finché i nomadi non riusciranno a “transitare verso forme abitative convenzionali”. Quando avverrà? Mistero. Il piano prevede una verifica del programma entro 5 anni dalla sua delibera di approvazione, quindi a fine 2022. Le microaree sono già state costruite, la selezione dei nomadi da spostarci è ancora in corso. “Anche quello di via Erbosa doveva essere temporaneo… – attacca Andrea Sassone, consigliere di Fdi – La delibera non pone un termine finale per le microaree. Chi ci assicura che non rimarranno per 20 anni?”.

Ultimo appunto: le microaree sono pensate per 15 persone l’una, quindi 30 nomadi in tutto. Ma nell’area sosta di via Erbosa ad oggi vivono almeno in 40. La differenza dove andrà? Mistero. Il rischio alla fine è di ritrovarsi con tre campi nomadi al posto di uno. “Three gusti is meglio che one“.

il giornale.it

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