Dieci campane a morto per il governo Conte. E Mattarella deve rispettare il popolo italiano

Sono almeno dieci le campane che suonano a morto per il governo Conte. C’è una maggioranza dilaniata su tutto, che è tenuta assieme solo da questo bluff di una coalizione parlamentare autorizzata dal Quirinale a fregarsene degli orientamenti popolari. E’ il teorema di Mattarella, con cui è nato il secondo e già sbilenco governo Conte con la coperta istituzionale. Ma anche il capo dello Stato non può ignorare a lungo il nostro popolo. Ne va del decoro della Nazione, della credibilità delle istituzioni. Perché lo scontro è praticamente su tutto.

Mattarella vuole starne fuori, ma questo governo e questo premier sono opera sua. Stanno compiendo autentici disastri.

I disastri di Conte e la coperta di Mattarella

Botte da orbi sul SalvaStati e meraviglia che non ci sia al Colle qualcuno che consigli Conte di non dire sciocchezze. Salvini, all’epoca del caso Diciotti, fu “salvato” da una decisione condivisa dalla sua maggioranza e dall’opposizione di centrodestra. Conte si adeguò forse per opportunismo? Spieghi invece con molta chiarezza e senza minacce, il premier, perché ha impegnato l’Italia a sborsare 125 miliardi all’Europa senza averne nulla in ritorno.

Secondo terreno di conflitto, la giustizia. Siamo per arrivare all’anno nuovo senza che alcuna riforma del codice di procedura penale sia stata approvata. In compenso entra in vigore la fine della prescrizione. I Cinquestelle sbeffeggiano il diritto, il Pd sbanda.

Tanto per non farci mancare nulla, esplode la terza bomba, quella legata all’inchiesta su Matteo Renzi. Davvero Zingaretti può fingere che adesso il tema del finanziamento della politica non debba calare sull’azione di governo anche se Di Battista urla?

Il Quirinale non può più stare a guardare

La maggioranza del secondo governo Conte – l’ultimo, si spera – si lacera anche nei territori. Partiti con la voglia di costruire un’alleanza organica tra Pd e Cinquestelle, si sono impauriti con la legnata rimediata in Umbria. Emilia e Calabria – almeno per ora – vedranno candidati contrapposti alle regionali, mentre diventa terreno di scontro – il quarto – anche l’autonomia differenziata.

Quinto tirammolla sulle concessioni autostradali. I pentastellati ululano appena sentono il nome Benetton, il Pd si schiera a difesa della ditta.

Nel frattempo, prendono fiato sul sesto tavolo di conflitto, quello della manovra. Litigando sul resto, sembrano dimenticare il capolavoro di tasse e manette che hanno messo assieme. In settimana ricominciano a darsele di brutto.

Lite numero sette, quella sulle politiche industriali. I cadaveri di Alitalia e Ex Ilva sono pronti per la tumulazione.

Il rischio più grosso, tra tutti questi finora elencati, è rappresentato dalla debolezza di Di Maio e Zingaretti nei rispettivi partiti: Cinquestelle e Pd bollono all’interno tra voglia di voto di vendetta e rifiuto dell’idea per ragioni di cadrega.

Ci vorrebbe una legge per impedire l’ostacolo numero nove, la diffusione di sondaggi devastanti. Ogni volta che sono resi noti, i numeretti provocano crisi di nervi e rinfaccio di responsabilità. “Colpa vostra” è l’espressione più gettonata. Ma sanno che la via di casa è senza ritorno.

Infine, la montagna più dura da scalare. Che è quella rappresentata dall’ambizione smisurata di Giuseppe Conte. Costui sta seminando odio e si muove come uno carico di voti senza averne mai preso uno solo. E’ proprio Conte quello che Mattarella dovrebbe accompagnare alla porta.

Ps: per carità di Patria non parliamo di fine vita, ius soli, Rai. E quella cosuccia chiamata Russiagate… Se non se ne vanno rapidamente comunque moriranno pazzi.

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