Tutto da rifare pure su Alitalia. E il premier è un fantasma

Giuseppe Conte non è stato messo lì per governare l’Italia. No, neppure per fare il notaio. Non era il garante del patto tra Di Maio e Salvini.

Sbagliato. Il bis, il cambio di maggioranza, la svolta a sinistra dei grillini, il Pd che entra, Renzi che cambia partito ma resta in coalizione, perfino questo carosello è solo un’illusione. Conte è spuntato dal nulla per dirci che è finita. Non è un premier. È il liquidatore fallimentare. È il demone della rassegnazione, quello che dice «amen».

Nulla di personale. È il ruolo che gli ha affidato il destino o chi ne fa le veci. Conte di fronte a qualsiasi problema allarga le braccia e fa una smorfia appena accennata, scuotendo poi lentamente la testa. Alitalia? Non c’è soluzione. Ilva? Non so che fare. Venezia? Che il meteo ce la mandi buona. I viadotti? La terra frana. I rifiuti? Li spostiamo da un’altra parte. Il giorno dopo spunta l’ombra di un super commissario, si evoca un salvataggio di Stato, si riesuma il cadavere dell’Iri. Qualcuno sussurra: magari ci aiuterà l’Europa. Peccato che l’Europa sia un altro fantasma. C’era. Ora è il nome che Berlino e Parigi danno ai propri vassalli. Conte è uno di questi.

Eccolo. «Atlantia non ha confermato la manifestazione di interesse che aveva preannunciato. Ne prendo atto». Ne prendo atto è la frase che ama di più. Consapevolezza? No, la rassicurazione che tutto sta andando secondo i suoi piani. Non sta a lui salvare l’Italia. Il suo ruolo è solo certificarne il decesso.

L’Italia assomiglia a una grande villa che giorno dopo giorno diventa fatiscente. Non sai se buttarla giù o venderla a pezzi. Ai cinesi, ai russi, alla mafia, al primo che passa con un po’ di soldi in nero. Non è tutta colpa di Conte. C’è il passato. Ci sono anni e anni senza una visione. Conte si accontenta di certificare il fallimento, con un governo surreale dove i partiti che lo appoggiano passano il tempo ad abbaiarsi contro e a non metterci la faccia. Nessuno in fondo ha interesse a firmare una dismissione. Forse è per questo che non c’è un piano. Il governo del nulla non si sporca le mani. È meglio stare fermi, immobili, guardare quello che succede e poi dire come il medico della mutua: non si poteva fare nulla.

L’affanno invece è nel giudicare. I partiti della maggioranza non si sbattono per trovare una soluzione, ma sono bravissimi a puntare l’indice. Promettono vendette, indagini a tappeto, chi ha sbagliato pagherà, non c’è innocenza e non c’è perdono. È strana questa cosa. Il primo dovere di un governo dovrebbe essere governare, cioè trovare soluzioni e immaginare un futuro per l’Italia. È una scommessa, con punte di ottimismo e di follia. Ci vogliono coraggio e preveggenza. Conte e i suoi ministri o sono statici o guardano indietro. Il fallimento esige capri espiatori. Non bastano, però, un paio di nomi. La cultura politica di questo governo ha un sogno: rieducare tutti gli italiani. È questa la missione etica: fallire, scontare i peccati e ripartire dalla fine del mondo.

il giornale.it

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