Tutte le fregature della moneta elettronica tanto cara al governo: vale meno, ci costa di più

Sulla “sfida” tra moneta cartacea e moneta elettronica, riceviamo da Andrea Migliavacca e volentieri pubblichiamo:

Nel 1975, citando un anno a caso, per un bambino di 5 anni avere una banconota da 500 lire significava disporre di un patrimonio inestimabile. Una banconota di carta verdognola (da conservare religiosamente), che dava l’idea del valore del denaro. Oggi la banconota di più piccolo taglio è quella di 5 euro, con analogo colore e forse minor potere d’acquisto. Per l’odierno bambino di 5 anni, però, la moneta di 5 euro non ha lo stesso valore, neppure didattico rispetto alla svalutata lira. Soprattutto perché dovrà imparare ad attribuire un valore nominale facendo riferimento al display del proprio “conticino” corrente elettronico. Non più col fruscio della carta, né col tintinnio delle monete.

Il costo della moneta elettronica

Abitudine a cui dovranno piegarsi anche quei bambini degli anni Settanta ed i loro anziani genitori. Perché la moneta cartacea è diventata sinonimo di malaffare, di evasione e dunque da ripudiare. Tutte le transazioni dovranno avvenire con moneta elettronica, oggi in prevalenza affidate a carte di debito (bancomat) e/o di credito. Ogni transazione comporta (e ciò avverrà verosimilmente anche per il futuro) una “commissione” in uscita ed una in entrata. Così quei 5 euro dell’esempio, dopo anche un solo passaggio e senza produrre più di uno scambio di beni e/o servizi, verrebbero azzerati dalle commissioni. Ciò non accadrebbe con la moneta cartacea.

Quando il sistema non funziona

Il 9 novembre, sabato scorso, quel bambino del 1975 (frattanto cresciuto), come molti italiani sparsi per tutto il territorio nazionale, ha cercato di affrontare un pagamento, tramite bancomat, presso un negozio della grande distribuzione. Invano, però, perché la rete del servizio interbancario non funzionava e ciò senza una plausibile ragione: solo contanti o carta di credito. Qualche giorno più tardi, la banca Unicredit iniziava a recapitare a tutti i suoi correntisti (circa 3 milioni) una comunicazione (cartacea, quindi più attendibile di una mail).

Una preoccupante comunicazione della banca

“Gentile Cliente, ci preme comunicarLe – era l’incipit – che abbiamo individuato un accesso non autorizzato ad alcuni dati relativi ai nostri clienti, tra cui i Suoi”. I dati in questione, che risalgono al 2015, sono esclusivamente di carattere anagrafico ed in particolare riguardano nome, cognome, comune e provincia di riferimento, numero di telefono cellulare, indirizzo e-mail. Poi la lettera prosegue: “Ci teniamo a precisare che non sono stati compromessi altri dati personali, né coordinate bancarie in grado ci consentire l’accesso ai conti dei clienti o l’effettuazione di transazioni non autorizzate”. La parte seguente invita ad una corretta conservazione delle credenziali, per evitare eventuali violazioni.

Tanti interrogativi tra privacy e diritto

Non si comprende se la banca abbia inviato la comunicazione indistintamente a tutti i correntisti, solo per scrupolo, o perché ciò sia imposto dal vigente regolamento europeo per il trattamento dei dati personali. Resta il fatto che l’informazione, resa nota a quattro anni di distanza, ci consegna una circostanza che dovrebbe destare più di qualche riflessione, in particolare nel legislatore, che vuole affidare agli istituti di credito ogni transazione, con moneta elettronica, per limitare – così ci dice – il fenomeno dell’evasione. Le perplessità sono tante, soprattutto da parte di chi si è trovato bruscamente catapultato nel mondo digitale, dopo una vita analogica. Sono tanti anche gli interrogativi, da rivolgere non solo al Garante per il trattamento dei dati personali, ma anche al legislatore, sempre più miope e strabico. Quello strabismo divaricato che allontana il concetto di Diritto da quello di Giustizia.

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