Primo crac di Patuanelli, Whirlpool chiude a Napoli

Lo stabilimento Whirlpool di Napoli chiude i battenti dal primo novembre. E fa esplodere sul tavolo del neo ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, il primo delicato dossier industriale del Paese: uno dei tanti in itinere se si pensa ad Alitalia, Ilva, Mercatone Uno.

Un caso che crea un precedente poco rassicurante e un vero e proprio «allarme lavoro» proprio in Campania, terra natale dell’avellinese ex ministro Luigi Di Maio, che il dossier Whirlpool l’ha gestito fino a ieri. Proprio l’attuale ministro degli Esteri, in un post pubblicato su Facebook il 30 ottobre del 2018, scriveva da capo del Mise: «Whirlpool non licenzierà nessuno e, anzi, riporterà in Italia parte della sua produzione che aveva spostato in Polonia. Sono quindi orgoglioso di dire che ce l’abbiamo fatta: stiamo riportando lavoro in Italia!». Una promessa rilanciata sui social, che ora torna indietro come un boomerang.

Non meglio è andata comunque a Patuanelli che, con il premier Giuseppe Conte, ha potuto solo prendere atto dello stop a Napoli (420 i lavoratori coinvolti). Quello con i vertici di Whirlpool «non è stato un incontro positivo – ha commentato il ministro – nonostante la disponibilità del governo a mettere in campo tutte le iniziative necessarie, l’azienda continua a proporre come unica soluzione una cessione del ramo d’azienda verso l’ignoto». Diversa la posizione degli americani che ieri, in una nota, hanno detto di «aver preso atto della mancata disponibilità da parte del governo a discutere il progetto di riconversione». Una situazione di non ritorno che ha suscitato le proteste di sindacati e lavoratori: circa 300 lavoratori dello stabilimento hanno bloccato ieri l’autostrada Napoli-Salerno. Solo l’inizio di una serie di proteste annunciate dai sindacati, a cominciare dalle 2 ore di sciopero alla fine di tutti i turni in tutti gli stabilimenti del gruppo.

Occhi puntati ora sul governo. Per l’esecutivo giallo rosso, e per i Cinquestelle in particolare, si apre una fase ancora più complicata sul fronte del lavoro.

Tira una brutta aria anche a Taranto, in casa Ilva. Altro dossier gestito e concluso da Di Maio. ArcelorMittal (che ha rilevato l’Ilva un anno fa) ha deciso all’improvviso di cambiare la guida della sua controllata italiana. A gestire tutti i nodi (risanamento degli impianti, immunità penale, cassa integrazione ed esuberi), non sarà più Matthieu Jehl ma Lucia Morselli, la dirigente che ha ristrutturato Acciai speciali Terni, controllata da ThyssenKrupp. Una sorta di lady di ferro che con la Thyssen è stata protagonista di una vertenza molto dura, durata 5 mesi, con 36 giorni di sciopero consecutivi da parte dei lavoratori, sfociata in un accordo per l’incentivo all’esodo di 290 addetti. Proprio i sindacati paventano per l’ex Ilva uno scenario simile. «Non bisogna ostentare pregiudizi, ma avvisiamo Lucia Morselli – ha detto ieri il leader della Fim, Marco Bentivogli – che se si pensa di ridimensionare le produzioni e tagliare il personale sapremo come rispondere». D’altra parte, il gruppo perde circa 50 milioni al mese.

il giornale.it

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