“Sogniamo di diventare poliziotti”. Sono idonei, ma vengono esclusi

Questa è la più tipica delle storie (assurde) della burocrazia italiana. Di quelle in cui, alla fine, nessuno è colpevole e a rimetterci sono gli sfortunati.

Parliamo di concorsi pubblici, leggi, emendamenti e il sogno di alcuni italiani di servire lo Stato come agenti di polizia.

Tutto inizia nel lontano 2017, quando lo Stato emette un bando per assumere 1.148 nuovi agenti tra civili (893), ex militari (76) e soldati in servizio (179). Senza entrare nei dettagli, per partecipare al concorso occorre rispondere ad alcuni requisiti tra cui avere un diploma di scuola media e non aver superato il 30esimo anno di età. In molti si presentano alle selezioni, sottoponendosi alle prove scritte. C’è chi esulta, gli esclusi altri un po’ meno. Nessun problema. Come spesso accade, i posti vengono ampliati tra ottobre e novembre per ben due volte e quasi tutti che avevano superato le prove scritte, fisiche e attitudinali riescono ad entrare. Fin qui, nulla di troppo strano.

I problemi iniziano quando a gennaio il governo giallo-verde presenta il dl Semplificazione, poi convertito in legge dal Parlamento. All’interno c’è un emendamento (presentato dalla Lega) per assumere nuovi poliziotti. L’intervento era stato chiesto anche dai sindacati di polizia, visto l’invecchiamento crescente delle pattuglie in strada. Ma si crea un cortocircuito.

Il dl Semplificazione, infatti, decreta l’assunzione di 1.851 allievi agenti della polizia di Stato. Per evitare emettere un bando apposito e iniziare tutto d’accapo, si decide di far scorrere la graduatoria della prova scritta di quel concorso indetto nel 2017. I concorrenti esultano, soprattutto quelli che avevano fatto un buon punteggio. Il problema è che il Dl specifica che gli aspiranti poliziotti dovranno rispondere ai nuovi requisiti previsti dalla legge Madia (Pd) approvata nel 2018, che ha abbassato l’età massima per l’assunzione a 26 anni. Quindi quattro in meno di quelli indicati nel concorso partito nel 2017. “Non avremmo potuto scriverlo diversamente – spiega al Giornale.it il senatore Luigi Augussori, primo firmatario dell’emendamento – perché era possibile ignorare la legge Madia”.

A rimetterci però è chi ha partecipato a un concorso in tempo e poi si è visto cambiare “le regole in corsa”. “Non è giusto – racconta Valentina al Giornale.it – nel 2017 avevo 29 anni e rispettavo i requisiti. Non possono escludermi così”. Nel maggio di quest’anno alcuni aspiranti hanno così deciso di presentare un ricorso al Tar. Il Tribunale ha accolto l’istanza e disposto l’ammissione con riserva dei concorrenti “over 26” alle prove fisiche e attitudinali. I diretti interessati sono stati convocati e in 455 hanno superato gli esami successivi. In totale fanno 2.017 persone idonee all’assunzione. Tutti contenti? Macché: ad agosto la polizia avvia i corsi di formazione per soli 1.851 allievi, senza menzionare quegli sfortunati 455 idonei con riserva. La domanda è: che fine faranno?

L’amministrazione è convinta di essere nel giusto. E di non dover assumere chi ha superato i 26 anni. “Si tratta di una nuova procedura concorsuale – spiega Augussori – e non della prosecuzione di quello del 2017. Abbiamo deciso di utilizzare quella graduatoria solo per accelerare i tempi, ma i requisiti andavano corretti in base alle nuove norme. Se avessimo indetto un nuovo bando da zero, quei ragazzi sarebbero comunque stati esclusi”.

Visto l’andazzo, molti degli aspiranti poliziotti presentano allora un nuovo ricorso al Tar per essere avviati ai corsi di formazione. L’istanza viene accolta, ma lo stato si trincera dietro la mancanza di fondi e di posti a disposizione nei centri di addestramento. Alla fine, spiegano i ricorrenti, il Tribunale consiglia di “inserirli in un corso ordinario successivo o di attivare un nuovo corso ad hoc”. Ma per ora siamo ancora in alto mare. Si è trattata di una “vera e propria coltellata al cuore”, sussurra Liborio. “Sono stati calpestati la nostra dignità e i nostri sacrifici”, ribatte Pierluigi. Il sogno, dice Luca, è solo quello di “iniziare la nostra carriera nella Polizia di Stato”. Dove sta la ragione, lo deciderà un tribunale. Resta però il paradosso burocratico: “Anziché dedicare tutto me stesso ad addestrarmi – conclude Pierluigi – mi trovo costretto a combattere battaglie legali”.

il giornale.it

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