Il dolore di una madre: “Mio figlio Andrea, a 15 anni si è tolto la vita per via dei bulli”

“Il bullismo è una piaga sociale che riguarda tutti”. Sono le parole di Teresa Manes, una donna fortemente empatica, che ha vissuto il dolore profondo della perdita del figlio, vittima di bullismo. Andrea, all’età di 15 anni, si è tolto la vita.

Lo ha fatto due giorni dopo il suo compleanno impiccandosi con una sciarpa mentre era da solo in casa. A ritrovarne il corpo senza vita sono stati il padre, Tiziano, e il fratellino Daniele, all’epoca dei fatti, di soli dieci. Teresa non era lì con loro ma, come lei stessa dice, “ho assistito in diretta alla morte di mio figlio”.

Quando lo hai saputo?

“Ero al telefono con il mio ex marito, Tiziano. – racconta – Gli avevo telefonato proprio mentre stava rincasando. Ho sentito le grida dall’altra parte della cornetta. Non ho capito cosa stesse accadendo ma ero certa che fosse qualcosa di grave. Così, ho allarmato la polizia..E poi, mi è crollato il mondo addosso”.

Andrea aveva da poco cambiato scuola, frequentava il liceo Cavour di Roma soltanto da qualche mese quando ha deciso di farla finita in un freddo giorno gennaio. A poche ore dalla sua morte, i genitori hanno appreso la notizia dell’esistenza di una pagina Facebook in cui Andrea veniva deriso dai suoi coetani. Lo chiamavano “il ragazzo dai pantaloni rosa”. A distanza di anni, Teresa, sua madre, ripercorre quella terribile circostanza. E prova a capirci qualcosa, a tirare le somme. Ma è difficile. Troppo.

Andrea aveva mai dato segni di sofferenza o turbamento?

“Se ci penso, forse qualche segnale ce lo aveva dato – ci dice – Alternava giorni in cui era euforico e felice ad altri in cui si rintanava nel silenzio della sua camera. Diceva di avere mal di testa e se ne stava lì, per ore. Non ha mai raccontato nulla del dramma che viveva, delle continue e reiterate prese in giro. Probabilmente pensava che ce l’avrebbe fatta da solo, che era abbastanza forte da poter reggere la situazione ma non era così. Forse, da madre, avrei dovuto cogliere quei campanelli d’allarme, indagare di più. Ma all’epoca, stiamo parlando del 2013, il bullismo non era così conosciuto come oggi. Si sapeva ben poco. Non posso recriminarmi nulla”.

Dopo aver vissuto questa terribile esperienza sulla tua pelle, che idea ti sei fatta dei bulli? Insomma, secondo te, cos’è il bullismo?

“Il bullismo è una piaga sociale di cui siamo tutti complici. – spiega la signora Manes – Solitamente, si pensa che il bullo sia quello che tira i cazzotti in faccia o vessa qualcuno costringendolo ad azioni umilianti, ma non è tutto qui. Esiste un ‘bullismo incosapevole’, strisciante, che si manifesta attraverso la derisione continua, costante. Il bullismo è, in primis, verbale. Quella è la forma di violenza maggiore. Ed è inconsapevole, come nel caso di mio figlio perché, talvolta, non ci si rende neanche conto di quanto facciano male certe parole. Ci sono modi dire, ad esempio, che non vengono percepiti come offese. Ma lo sono eccome. Il bullo più deleterio, quello capace di mietere più vittime, non ha né la percezione del dolore né la misura dello stesso. Si tratta di un soggetto assuefatto, non educato al rispetto della diversità e ai sentimenti di tolleranza. E poi, bisogna smetterla di fare un distinguo tra cyberbullismo, bullismo e altre bizzarre definizioni. Che vuol dire? Cambiano i canali attraverso cui si manifesta ma la sostanza non cambia: è una violenza”.

Le cronache recenti, ci hanno raccontato storie di terribili di bullismo. A Roma, appena una settimana fa, una giovane di 13 anni si è suicidata perché presa in giro dai compagni di classe su WhatsApp. A Ferrara, un ragazzino di 11 anni è stato preso a pugni in faccia per il suo aspetto fisico durante il cambio d’ora delle insegnanti.

Secondo te, perché il bullismo trova terreno fertile proprio a scuola?

“A scuola c’è la quotidianità che garantisce la ripetitività di certi comportamenti. – dichiara – Il bullo ha la possibilità di essere a contatto stretto con la vittima prescelta ed è per questo motivo, a parer mio, che si rafforza. D’altro canto, chi ne subisce le angherie, diventa una vittima collusa. Intendo dire, come è accaduto ad Andrea, fa parte di quello stesso gruppo che lo denigra continuamente”.

Si è parlato spesso di ‘sportelli di ascolto’ per i ragazzi all’interno delle scuole. Può essere una soluzione questa?

“Assolutamente no. Per risolvere questo problema c’è bisogno di presidi fissi con figure professionali ad hoc. Un insegnante può educare i ragazzi al rispetto e alla diversità ma non ha le competenze per poter agire sui bulli. Sento spesso parlare di ‘progetti’ per la scuola a tal riguardo. Ma non ha senso. Il progetto, è insito nel significato stesso della parola, indica un inizio ed una fine. Ed è lì l’errore. Invece, bisogna garantire una continuità formativa ai ragazzi. Molti non sanno, ad esempio, che certi comportamenti possono trasformarsi in reato e, in quanto tali, legalmente perseguibili. Ecco, perché non si introduce anche lo studio del Diritto a scuola? Anche la filosofia, studiata in maniera trasversale, può essere di grande aiuto. Bisogna educare i giovani al rispetto e alla civilità. L’assenza di una base culturale, solida e ben strutturata, è la causa di certi comportamenti. Ma bisogna coinvolgere anche le famiglie perché i genitori sono il riferimento più importante per un ragazzino”.

Una recente sentenza della cassazione, datata l’11 settembre, ha riconosciuto il diritto alla vittima di reagire nei confronti del bullo. Che ne pensi?

“La sentenza è un po’ scivolosa. – afferma la Manese – Non si può rispondere alla violenza con altra violenza. Così, rischiamo di innescare solo un circolo vizioso in cui tutto è lecito. Il problema va sdradicato, sviscerato nel profondo. Attraverso la legittimazione della reazione, inconsapevolmente, presupponiamo l’esistenza di un’azione violenta già avvenuta. E cosa abbiamo risolto così facendo? Nulla”.

Dopo anni di sofferenza, Teresa si è rialzata in piedi provando a trasformare il dolore per la perdita di Andrea in pulsione positiva, uno spunto per aiutare coloro i quali vivono situazione analoghe. Così, qualche anno fa, ha fondato un’associazione di contrasto al bullismo e, ad oggi, è promotrice di numerose iniziative nelle scuole. Ma nonostante l’impegno profuso, non sembra essere ancora soddisfatta dei risultati conseguiti. Quello che lamenta è l’assenteismo delle istituzioni e il lassismo culturale della società.

“Io, come tanti altri, posso andare nelle scuole a riportare la mia testimonianza ma non è abbastanza – presegue con il suo racconto – È il sistema che non funziona. Non può un’associazione di volontari fare tutto da sola, senza il supporto delle istituzioni. Ci deve essere una collaborazioni tra le parti, la scuola, lo Stato e le famiglie. C’è bisogno di figure professionali con competenze specifiche nel settore, solo così la prevenzione può avere un senso. Ma, ripeto, deve essere costante nel tempo”.

Un’ultima cosa. Se potessi parlare con il genitore di un bullo. Cosa gli diresti?

“Di smetterla di proteggere il figlio. Capisco che per una madre o un padre riconoscere che il figlio sia un soggetto violento non è facile ma bisogna fare uno sforzo nell’interesse del ragazzo. Amare i propri figli vuol dire aiutarli a diventare delle persone perbene e, di conseguenza, a vivere più serenamente. Se ciò non accade, rischiamo solo di fare due vittime anziché una. Noi adulti, tutti, abbiamo il dovere e la responsabilità del futuro delle nuove generazioni”.

il giornale.it

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