“Con gli account fasulli messaggi subito virali. Ecco perché servono”

«Sono seduto a fare aperitivo, ma perdo volentieri un po’ di tempo per parlare di questo argomento».

A rispondere al Giornale è Matteo Flora (nella foto), informatico, hacker, esperto di propaganda digitale e, tra le altre cose, professore a contratto in «Open Source Intelligence» all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata nell’ambito del master in «Intelligence Economico Finanziaria». Flora mette subito le mani avanti, cominciando a spiegare la complessità del tema: «Non è banale, anzi è molto complesso stabilire cosa ci sia dietro alla grande massa di account segnalati come fake dall’applicazione. Soprattutto se parliamo di un partito come il M5s o la Lega». Così la discussione si muove su un doppio binario: tecnologico e sociale-politico. Ci spiega: «Sicuramente tra tutti i fake followers ci sono degli account artificiali, i cosiddetti bot, ma all’interno del grande gruppo degli account sospetti ci sono, altrettanto certamente, molte persone reali. Piuttosto la questione è un’altra». E la questione riguarda le modalità di partecipazione politica di un partito come il M5s: «Le forze politiche populiste, come il Movimento, sono caratterizzate da un elettorato con una scolarizzazione molto bassa. È brutto da dire, ma è così e ci sono molte ricerche che lo dimostrano». Il ragionamento prosegue, sul parallelismo tra il comportamento di un account fake e su quello di una persona che sul social network si comporta come se fosse un bot: «Tra le caratteristiche di un account che portano a definirlo sospetto ci sono l’assenza di una foto del profilo, la pubblicazione di molti retweet senza produzione di contenuti, oppure se scrivo in una lingua diversa da quella con cui mi sono registrato. Tutte cose che sono compatibili anche con una persona fisica che ha poca dimestichezza col mezzo, che va a iscriversi a Twitter essenzialmente per fare da megafono al proprio leader politico».

La partecipazione politica attraverso i social, Flora la paragona al tifo da stadio: «A questo punto la differenza tra il tifo calcistico, i fan club e la politica sfuma decisamente. Cambia davvero poco. La tattica è basata quasi solo sulla contaminazione social di una notizia, il politico cerca la visibilità anche attraverso questo tipo di account, sia che dietro ci sia una persona, sia un software automatico». Ma nonostante sia molto difficile distinguere, Flora conferma che l’alterazione tecnologica del consenso politico esiste: «Anche se non riusciamo a quantificarli, i bot veri e propri esistono sicuramente. Anzi, l’uso dei bot è diventata una parte fondamentale della propaganda politica. Ormai i bot sono come quando una volta si andava a prendere l’elenco dei morti per mettere delle firme utili magari alla presentazione di una lista politica, è quasi la stessa cosa».

Gli utenti tecnicamente falsi, governati attraverso dei software, spesso sono la base di partenza per rilanciare un contenuto che poi diventa virale: «Nel caso di quasi tutti i politici o partiti, i bot vengono utilizzati nella fase iniziale come un acceleratore del messaggio. Funziona che un gruppo ristretto di utenti robotizzati, i cosiddetti botnet, sono i primi a rilanciare una notizia che si vuole venga diffusa massicciamente. Poi gli altri followers veri fanno il resto e il contenuto diventa virale». Una strategia basata tutta sulla quantità: «Oggi il politico per essere ripreso dai giornali ed essere al centro del dibattito pubblico ha bisogno del maggior numero possibile di followers pronti a diffondere i suoi messaggi sul web, ogni leader ha il suo fan club acritico».


il giornale.it


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