Cara sinistra, ecco la verità: con Renzi i migranti finivano in strada

Ci sono bufale, balle, “sparate” e mezze verità. Storie non raccontate fino in fondo, ma che fanno comodo. Ecco: quelle di Pierfrancesco Majorino, vulcanico assessore di Milano, sembrano rientrare nell’ultima categoria citata.

Obiettivo delle storie bucherellate di “non detti”: mettere nel mirino gli effetti del decreto Sicurezza che “produce” dei “fantasmi” che si aggirano per la città.

Stamattina Majorino ha svegliato i milanesi sui social condividendo nomi e storie di tre migranti “finiti per strada” e “rintracciati dagli operatori che gestiscono i centri per senzatetto”. Uno viene dal Mali, l’altro dal Pakistan e il terzo dalla Guinea. Secondo l’assessore sono solo alcuni esempi delle “centinaia” che arriveranno “nei prossimi mesi” a causa delle norme contenute nel dl Salvini. Sarebbero “titolari di protezione umanitaria” provenienti da altre città e che diventano “fantasmi prodotti dalla politica del governo”.

Ora. Non possiamo dubitare certo delle “storie reali” riportare dall’assessore milanese. Ma Majorino deve essersi dimenticato di dire (sarà una svista) che di migranti senzatetto Milano ne aveva in quantità anche quando al governo c’era Renzi e Sala prometteva di ripulire le periferie.

Chi scrive può testimoniarlo. Era il luglio del 2016 quando una trentina di immigrati pakistani e afghani avevano trasformato un cavalcavia della tangenziale est milanese nella loro casa. Erano abbandonati a tutto e da tutti, anche dal precedente sistema di accoglienza tanto difeso dalla sinistra. Attendevano il riconoscimento dello status di rifugiato, avevano vissuto in un centro di accoglienza, avevano i documenti con la richiesta di asilo eppure dormivano in strada. Di casi ne esistono a decine, forse centinaia. Eppure non c’era alcun “decreto Salvini” a buttarli fuori dai centri profughi. Il sistema già funzionava così.

Proviamo a spiegare. La sinistra accusa il dl di “cacciare” i titolari di protezione umanitaria(soggiorno di breve periodo) dai centri di seconda accoglienza (Sprar), ora riservati ai titolari di protezione internazionale (soggiorno di lungo periodo). Il dl in realtà prevede che gli “umanitari” e i richiedenti già presenti nei centri Sprar continuino a rimanerci, così come in futuro potrà accederci comunque chi soffre di particolari situazioni di criticità. Cosa cambia? Che oggi la seconda accoglienza (quella con corsi di lingua, formazione, eccetera) sarà riservata solo ai ‘veri’ profughi e non anche (come successo fino ad ora) ai semplici richiedenti asilo. Per questi ultimi lo Stato spendeva grosse risorse per poi scoprirli inidonei ad ottenere una forma di protezione internazionale. Un onere per l’erario biasimato pure dalla Corte dei Conti.

È vero, dunque, come dice Majorino, che i titolari di protezione umanitaria “finiscono per strada” per gli “effetti della legge Salvini“? Non proprio. O meglio, come visto, accadeva lo stesso in passato. Anzi: peggio. Nel caotico sistema creato dalla sinistra non erano solo molti richiedenti asilo a rimanere fuori dalle strutture (come quei pakistani), ma anche i veri profughi. Questi, infatti, una volta ottenuti i documenti regolari si ritrovavano abbandonati a se stessi, senza arte né parte.

Era l’assurdo effetto di un sistema che lasciava i “rifugiati” a spasso (con i documenti) e coccolava i richiedenti asilo (al 60% clandestini) nei centri di accoglienza (sia Cas che Sprar). “Paradossalmente – spiegano dal Viminale – stante la presenza di richiedenti asilo nello Sprar, i beneficiari di protezione internazionale spesso rimanevano per periodi prolungati nei centri di prima accoglienza” o finivano chissà dove, senza poter accedere alle forme di integrazione pensate per loro. Vi sembra normale?

Ps: Majorino stima “un centinaio i casi di richiedenti asilo per i quali il Comune non può riconoscere la residenza anagrafica“. I sindaci ribelli dicono che in questo modo verranno tolti i “servizi” ai migranti. Non è vero. Cure mediche, accoglienza a assistenza saranno comunque garantite. Questi dipendono infatti dal domicilio, non dall’iscrizione anagrafica. Ma tanto vale raccontare “mezze verità”.

il giornale.it

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