Con i soldati tra la gente “L’attenzione è massima”

Sul piazzale della stazione di Monza cala il buio, in giro molti pendolari che rientrano a casa e un paio di facce poco raccomandabili.

Un cittadino si avvicina all’ufficiale dell’esercito: «Siete arrivati anche qui, finalmente». A Monza e dintorni i soldati di Strade sicure sono attivi da poche settimane. Nel resto d’Italia l’operazione ha appena compiuto dieci anni: varata il 4 agosto 2008. Oggi sono circa 7mila i militari impiegati nell’operazione, in 53 località tra metropoli e aree critiche come i quartieri isolati dopo il crollo del ponte Morandi, la Terra dei fuochi, le zone terremotate. Le donne impiegate sono il 6-7 per cento del totale.

L’operazione nata «per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità» è diventata un tassello fondamentale della sicurezza nelle nostre città. I soldati hanno la qualifica di agente di pubblica sicurezza. Possono identificare e fermare le persone sospette o indiziate di aver commesso un reato. Che poi vengono consegnate a polizia o carabinieri per le attività successive. In dieci anni sono stati quasi 16mila gli arresti, 3,3 milioni le persone controllate. Negli ultimi mesi le pattuglie «dinamiche», appiedate o sui mezzi, per lo più affidate solo all’esercito ma in alcuni casi congiunte con le altre forze dell’ordine, sono state aumentate rispetto a quelle «fisse» che presidiano obiettivi sensibili. Alla caserma Santa Barbara di Milano, quartier generale del Raggruppamento Lombardia-Trentino Alto Adige e dei circa 700 soldati assegnati alla metropoli, il turno semestrale delle brigate in servizio sta per terminare. Le mappe sono sul tavolo, segnate a penna come nelle missioni «fuori area». Il colonnello Cristiano Chiti, comandante della task force, accoglierà i nuovi ragazzi e ragazze. «Anche se provengono da brigate diverse – spiega – da noi ricevono un addestramento uniforme». Fatto di esercitazioni di tiro, anche con il Fats (Firearms training system), un sistema interattivo con scenari ricreati al computer. Di Mcm, il combattimento a distanza ravvicinata, di formazione su ordine pubblico, controllo della folla, aspetti legali, penali e diritti della persona. Le «regole d’ingaggio» in versione urbana insomma. «La preparazione è vitale – continua Chiti -, un errore in questi ambiti può compromettere l’intera operazione».

Piazza Duomo non è una vallata afghana, come il Colosseo non è una diga in Irak. Ma i soldati di Strade sicure non abbassano la guardia. In stazione a Rogoredo o in via Padova, dove i problemi sono microcriminalità e spaccio, a Brera o sui Navigli, dove la minaccia si chiama terrorismo. «Pensiamo ai fatti di Nizza e Barcellona», dice ancora il colonnello. Che conclude: «L’attenzione massima è la prima prerogativa di un soldato, a Milano o a Kabul. Presidiare un consolato è come presidiare una base avanzata e l’imboscata è in agguato come in teatro di guerra. Ricordate Parigi? La minaccia è la stessa, solo in misura minore. Qui svolgiamo compiti aggiuntivi ai nostri tradizionali, non certo in contraddizione». La capacità di adattamento si vede anche nei diversi equipaggiamenti. Arma lunga là dove un camion può piombare sulla gente, pistola e sfollagente dove c’è da intervenire per una rissa o una rapina.

Il giro del «VM» parte dalla stazione di Monza. Alla guida c’è Valentina, 30 anni, di Torino. Con lei il capo pattuglia Berardino, 27enne di Pratola Peligna nell’Aquilano, e il gregario di Fermo Francesco, 23 anni. Valentina si è arruolata a 25 anni, dopo la laurea in Scienze politiche. «Era il mio sogno», dice. Francesco è arrivato a Strade sicure dopo le superiori: «Un pallino che ho sempre avuto». Stazione di Cesano Maderno. Piazzale deserto e nebbioso che dà sul parco delle Groane, grosso centro di spaccio. Sulla banchina c’è solo un ragazzo che ascolta rap a tutto volume, i militari fanno un giro completo a piedi. Poi Ceriano Laghetto, Solaro. «Pendolari e studenti si sentono più sicuri se ci vedono», dice il tenente Andrea Tonasso, comandante del complesso minore che comprende la periferia e l’hinterland est di Milano. È passato dai conflitti etnici del Kosovo agli scippi di Lambrate. «Gli interventi sono praticamente quotidiani. Non ci si annoia di certo».

il giornale.it

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