La folle manovra che ha già bruciato 25 miliardi in un giorno

Milano Neanche il tempo di festeggiare sul balcone la resa di Tria allo sforamento del deficit, e già i mercati presentano al governo un conto salatissimo: oltre 25 miliardi di euro, una somma più che doppia rispetto ai 10 miliardi stanziati per finanziare il reddito di cittadinanza.

Tra indici accartocciati (-3,7% il Ftse Mib dopo una picchiata a -4%), titoli bancari venduti a mo’ di carta straccia (-7,2% la media delle perdite), ripetute sospensioni per eccesso di ribasso e vendite frenetiche, ieri è andata in scena una sorta di mattanza. Costata cara anche al Tesoro e alla sua Cassa depositi e prestiti, con quegli 1,3 miliardi sacrificati sull’altare dei ribassi che hanno subìto controllate e partecipate come Eni, Enel, Enav, Poste, Snam e Terna.

E non è finita. Nel conto bisogna poi mettere il potenziale aggravio, su base annua, di circa 4,3 miliardi per le casse pubbliche che deriva dall’aumento di 33 punti dello spread, salito a 269 punti, con la contestuale crescita dei rendimenti del titolo decennale al 3,15%. Alla stima sulla maggior spesa per interessi si arriva calcolando che sul nostro debito pubblico di 2.300 miliardi i circa 270 punti di differenziale tra Btp e Bund sono il doppio rispetto al valore (135) espresso prima dell’insediamento del governo giallo-verde: ciò equivale a 30 miliardi in più di esborso sugli interessi. Ma se si considera che la durata media del debito italiano è di sette anni, ecco ottenuto il maggior onere di oltre 4 miliardi.

I fronti di preoccupazione aperti dai mercati includono però anche le banche, che come al solito hanno opposto la resistenza di un grissino di fronte alla furia delle vendite. I numeri sono lo specchio di una seduta drammatica: Banco Bpm è collassata di quasi il 10%, Intesa San Paolo e Bper hanno perso oltre l’8%, Banca Generali il 7,17%, Unicredit il 6,73% e Mediobanca il 6,15%). Il tallone d’Achille dei nostri istituti è noto: hanno in pancia 373 miliardi di titoli del debito tricolore. Quando spread e rendimenti s’impennano, i prezzi dei bond pubblici calano (e viceversa). E se le quotazioni scendono, come in questo caso, gli istituti sono costretti a contabilizzare subito le perdite provocate dal deprezzamento dei titoli. Ciò provoca un peggioramento degli indici patrimoniali che, nella peggiore delle ipotesi, costringe la banca a un aumento di capitale per riequilibrare la situazione.

Per il settore del credito, un motivo più che valido per sperare in una rapida normalizzazione della situazione sui mercati. Che, al momento, sembra però difficile da ipotizzare. Al di là del boost dato al disavanzo, con possibili ripercussioni sulla stabilità dei conti pubblici e sul già elevato livello di indebitamento, la sensazione è che i mercati abbiano visto nella manovra un guanto di sfida lanciato dal governo a Bruxelles. Così pericoloso da minacciare perfino l’esistenza dell’euro. Il Financial Times faceva per l’appunto notare ieri come la Commissione europea sia preoccupata dal fatto che un’esplosione del nostro debito possa creare tra gli investitori internazionali un effetto contagio tale da far perdere la fiducia nella zona euro e, cosa ancora più importante, nelle emissioni governative dei Paesi membri. Gli analisti di Commerzbank mettono inoltre il dito su un altro punto dolente: l’indebolimento di Tria, l’accademico prestato alla politica che sembrava in grado di calmierare le spinte al deficit spending di Lega e M5s, porta gli investitori a cambiare la percezione del rischio-Italia. Tanto più che sul nostro Paese incombono i «verdetti» sul rating che arriveranno, in ottobre, da Moody’s, Standard&Poor’s e Fitch. In caso di declassamento, il livello di affidabilità dell’Italia si avvicinerebbe pericolosamente al livello junk (spazzatura), al momento distante di soli due gradini. Altra benzina per incendiare i mercati.

IL GIORNALE.IT

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