La verità SHOCK che Lussemburgo non dice. “Senza casa, nello sporco, mafiosi e”… parola di un italiano.

Riportiamo le parole del ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn, dichiarate qualche giorno fa e scagliate contro Matteo Salvini: “In Lussemburgo, caro signore, avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, dei migranti, affinché voi in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli”.

Ma il Ministro ha forse dimenticato le condizioni in cui vivevano i nostri nonni. A ribadirlo ci ha pensato bene l’oggi ultranovantenne Riccardo Ceccarelli: “La fame deve essere una brutta bestia se chi è nato in posti così belli ha poi deciso di andarsene a lavorare dentro un buco profondo duecento metri”.

Ceccarelli fu uno di quegli schiavi, uno dei tanti “mangiaspaghetti” (così li chiamavano) che, scrive il Corriere della Sera, colà “trovò una vita degna e un futuro possibile per sé, i figli e i nipoti. E questo, nonostante la xenofobia che accolse Ceccarelli e tutti gli altri emigrati negli anni Dieci e Venti del Novecento”.

Disperati, abbandonati anche dall’Italia a guida DC. Strazianti le testimonianze raccolte sempre dal Corriere (fonte non certo salviniana; anzi, più radical-chic di così), che in occasione della visita del presidente Giovanni Leone nel 1973 lascia trasparire storie di ordinaria disperazione.

“Ci sentiamo figli di nessuno”, titolava il quotidiano di via Solferino il 28 ottobre 1973. E pur tessendo diplomaticamente le lodi del Granducato, parando così il culo ai nostri connazionali all’estero ed evitando loro vendette e ripercussioni in un periodo in cui avevano addosso l’attenzione mediatica, lamentava il fatto che i nostri immigrati dovessero vivere nel “sovraffollamento e nell’inadeguatezza igienica”, penalizzati da “affitti elevati e speculazioni”.

Italiani che, in una lettera al presidente chiedevano che il Governo italiano, e non certo quello lussemburghese, costruisse per loro degli alloggi decenti. L’esatto contrario delle pretese degli immigrati africani pretendono vitto e alloggio a spese nostre!

Per tacer della scuola: o i nostri nonni e i loro figli imparavano una delle tre lingue d’uso corrente (francese, inglese o tedesco) o niente. Vietato l’italiano. La qual cosa, denunciavano gli immigrati, “condanna i nostri ragazzi ad un ingiusto stato di inferiorità”. Altro che madrasse e scuole islamiche.

“Il Lussemburgo è contrario alle scuole italiane”, scriveva sempre il Corriere (che, ribadiamo, salviniano non è) il 27 ottobre 1973; “per il ministro degli Esteri Gaston Thorn (l’omologo dell’attuale Jean Asselborn, NdR) provocano una vera e propria discriminazione e ritardano l’inserimento dei lavoratori immigrati”.

“I ragazzi, quando arrivano qua già in età scolastica, hanno notevoli difficoltà di inserimento. Le classi parallele, frequentare cioè contemporaneamente la scuola lussemburghese e corsi in italiano, pare non funzionino bene…”, concludeva il Corriere. Ceccarelli, sempre sul Corriere, ci andò ancora più pesante: “Spaghettisfréisser und wëlle Bier, mangiaspaghetti e orsi selvatici, ci chiamavano quando andava bene, o sbrigativamente tutti delinquenti”. Mafiosi, per la precisione…

Fonte: Il Populista

 

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