Addio a Sergio Marchionne, è morto l’uomo che ha salvato la Fiat. Voluto da Agnelli: chi era il manager col maglioncino

Sergio Marchionne è morto. Il manager era ricoverato nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Zurigo, dopo alcune complicazioni a seguito di un’operazione alla spalle. Secondo le indiscrezioni, mai smentite, che si sono succedute dallo scorso sabato, l’ex Ceo della Fca avrebbe avuto un tumore ai polmoni. L’operazione alla spalla era stata pianificata a fine giugno, ma nel decorso qualcosa è andato storto. Secondo l’ipotesi più diffusa tra gli esperti, Marchionne potrebbe aver avuto un’embolia che lo avrebbe portato al coma irreversibile

Lo aveva suggerito Umberto Agnelli il nome di Marchionne. Lo voleva in Fiat perché era “una persona molto speciale” aveva detto all’ex presidente di Ifil, Gianluigi Gabetti. Gli oltre 14 anni di storia tra Marchionne e il Lingotto iniziano infatti nel maggio del 2003, quando l’italo-canadese entra da indipendente nel cda di un casa auto sull’orlo della bancarotta. Il manager arriva dalla ginevrina Sgs, società nell’orbita della famiglia Agnelli, risanata in soli due anni.

Nel giugno 2004 diventa amministratore delegato della Fiat al posto di Giuseppe Morchio. E vince la prima sfida. Con gli 1,55 miliardi di euro pagati da Gm per rompere l’alleanza con il Lingotto, il nuovo capo azienda inizia il rilancio di Fiat con i nuovi modelli.

Di certo Marchionne, per anni accanito fumatore – ha smesso di recente – non è una figura usuale. Ironico, forte e diretto, sempre con il maglioncino blu. In ciascuna delle sue case negli Stati Uniti, in Svizzera e a Torino ne ha più di trenta, tutti uguali, che indossa in ogni occasione al posto della giacca e la cravatta. Si ricordano tre eccezioni. Quando si presenta alla stampa, quando va in Senato a riferire, dove la giacca e la cravatta sono obbligatorie, e alla presentazione dell’ultimo piano industriale dello scorso primo giugno, a Balocco. Ma in questa occasione mette una cravatta Ermenegildo Zegna solo per celebrare il target di “zero debito”, uno delle tante sfide vinte da Marchionne, di cui si ricorda anche una parentesi, nel 2012, con la barba.

“Chi comanda è solo. Io mi sento molte volte solo”, dice una volta Marchionne, cui non manca la forza di prendere scelte difficili. Appena diventato numero uno modifica le catene di comando, dimezza i livelli gerarchici da nove a cinque e introduce il “tu” invece del “lei”, cambiando una struttura ingessata. Vuole una “flessibilità bestiale” ed evita le “linee prevedibili” per superare i concorrenti. Dopo il blitz del 2009, porta nel 2014 Fiat a ingoiare il 100% di Chrysler, facendola diventare Fca, il
settimo produttore mondiale. E da Detroit lancia un piano ambizioso di cui i frutti sono attesi alla fine di quest’anno. Una scalata, quella a Chrysler, condotta tra la crisi europea, gli attacchi politici in Italia e le diffidenze degli analisti.

Marchionne tira dritto e si guadagna copertina di Time, che lo chiama lo Steve Jobs dell’auto, e il plauso del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che lo trasforma in icona della ripresa dell’auto a stelle e strisce. E ultimamente si sente dare anche del «preferito» del nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, per i suoi investimenti in Usa. D’altra parte, Fca per il pragmatico Marchionne è sempre “governativa”. E nonostante questo, dopo il rilancio delle linee di montaggio con i successi della Nuova Cinquecento e della Grande Punto, nel 2006 Marchionne riesce persino a farsi dare del “borghese buono” dal segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti. Nel 2010, invece, il manager con il maglioncino dà una scossa alle relazioni industriali.

Fiat straccia il contratto nazionale ed esce da Confindustria. Sono gli anni dei durissimi scontri con la Fiom del segretario generale, Maurizio Landini, che porta il gruppo in tribunale ed è l’unico dei grandi sindacati a non firmare il nuovo contratto aziendale che sarà approvato dal referendum dei lavoratori. Abruzzese d’origine, nato a Chieti nel 1952, Marchionne impara la cultura del lavoro in Canada, dove si trasferisce all’età di 14 anni con il padre, carabiniere in pensione in cerca di opportunità per i figli. Da giovane Marchionne passa le serate a giocare a scopa, briscola e poker nell’associazione carabinieri. Da amministratore delegato, invece, si alza alle cinque del mattino e legge per un paio d’ore i giornali. Prima il Financial Times e il Wall Street Journal, poi quelli italiani, di cui non condivide le troppe pagine di politica.

 

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