Immigrazione, lo sfogo della Guardia costiera libica: “L’Italia ci fa fare il lavoro sporco”

Dopo le polemiche sull’ultimo naufragio nel canale di Sicilia, è la Guardia costiera libica a mettere in chiaro cosa sia successo quel lunedì 16 luglio all’ora di pranzo, quando il gommone dove erano a bordo una donna e suo figlio salvati poi dalla Ong Open Arms. A spiegare la vicenda è il colonnello della Guardia costiera di MisurataTofag Scare, che lavora al coordinamento con Roma: “All’ora di pranzo abbiamo ricevuto una chiamata dal mercantile spagnolo Triades – ha spiegato alla Stampa – che ci segnalava un’imbarcazione di migranti in difficoltà tra Khoms e Tripoli e ci siamo mossi per intervenire, ne abbiamo tirati a bordo 165, maschi e femmine, tutti”.

L’accusa mossa dalle Ong contro le autorità libiche è di aver abbandonato volutamente i naufraghi in mare aperto: “Abbiamo lasciato solo i due corpi senza vita di una donna e un bambino dopo aver provato invano a rianimarli: erano morti e portarli a terra non aveva alcun senso, ma oltre loro non c’era nessun altro in acqua”.

Secondo Open Arms, i libici avrebbero distrutto il barcone dei migranti e abbandonato in mare quelli che si rifiutavano di salire abordo. Tra questi ci sarebbe stata anche Josefa, per quanto lei stessa al settimanale Internazionale dice di non ricordare il momento del naufragio, ma di essere stata comunque picchiata dai libici come altri suoi compagni.

Nella fase di soccorso, la nave spagnola Triades è rimasta sul posto, ma non ha fornito alcun tipo di aiuto alle persone a bordo dell’imbarcazione in difficoltà: “Non ha neppure dato da mangiare e da bere a quella gente – ha aggiunto il colonnello – ha detto che non era il suo lavoro e che non poteva fare nulla”. Il mistero sul mancato soccorso dei due superstiti fatica a risolversi, secondo le foto diffuse da Open Arms i due cadaveri di cui parla la Guardia costiera libica c’erano già sul luogo del naufragio.

A conferma della posizione libica c’è anche la testimonianza della giornalista tedesca Nadja Kriewwald, quella notte a bordo con i libici:”Non avremmo avuto alcuna ragione di abbandonare in acqua delle persone vive – ha detto Scare – anche se si fossero rifiutate di salire a bordo le avremmo tirate su a forza, lo abbiamo fatto con gli auomini e lo avremmo fatto facilmente con le donne. È una bugia, è propaganda contro di noi. non c’era nessuno oltre i due morti che, per altro, al nostro arrivano erano già morti. Quello di cui ci accusano è privo di senso”.

Il livello di esasperazione dei libici è alto. Non solo perché devono difendersi dalle continue accuse della Ong, ma devono anche operare usando mezzi e strumenti spesso inadeguati. Lo ribadisce in uno sfogo raccolto dalla Stampa un membro della Guardia costiere sotto anonimato: “L’Italia ci fa fare il lavoro sporco perché non vuole gli africani, ma anche noi non siamo contenti di prenderli qui, le nostre città sono piene fino a scoppiare, i centri per loro non bastano più e sono diventati bombe a orologeria. Certe volte – ha aggiunto la fonte anonima – con le motovedette ci spingiamo dentro le acque internazionali, dove sarebbe illegale, e io dico che sbagliamo. Lo facciamo perché abbiamo un accordo e l’Italia ci ha promesso delle cose, ma se non arriva nulla ci stiamo caricando di problemi e di cattiva reputazione. Quando bruciamo i barconi degli scafisti, lo facciamo per metterli fuori uso, non per sadismo. E comunque siete voi a chiederci di bloccare gli africani che vogliono venire in Europa, loro di certo non sognano la Libia”.

 

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