Giovanni Minoli bombarda la Rai: “Cartello contro Massimo Giletti. Fabio Fazio? Ecco quanto ha danneggiato Viale Mazzini”

«Il mondo ha bisogno di leader con una visione invece che di leader in televisione». Quando Lech Walesa pronunciò la famosa frase non aveva assistito agli ultimi trent’ anni di Rai sempre più incistati nella politica. Il visionario Giovanni Minoli, invece, ha ben chiaro il trompe l’ oeil delle inefficienze e delle speranze della tv di Stato, e ne parla con un’ enfasi quasi commuovente.

Minoli, Vittorio Feltri, in un articolo provocatorio, ha scritto che è meglio una Rai filogovernativa (Lega e M5S) che il monocolore lasciato in eredità dal Pd. Come la vede?
«La vedo che la Rai targata Renzi ha fatto due cose buone e una molto cattiva: ha dato la piena autonomia al direttore generale e gliel’ ha finanziata col canone in bolletta. Mancava la terza gamba: quella di contenuti del grande progetto di servizio pubblico. Nell’ epoca delle multipiattaforme, non puoi rispondere – come fece l’ allora dg Campo Dall’ Orto a me: “vedrei la Rai come una grande tv commerciale”, perché così non è Rai. D’ altronde anche Renzi per molto non sapeva decidersi se privatizzarla (io non ero d’ accordo, ma è una scelta) o di darle un indirizzo strategico col recupero del canone. Alla fine ha optato per il secondo ma ha perso l’ indirizzo».

Ma, ripeto, di questa pertinace, geometrica, quasi ammirevole, affezione per la politica di viale Mazzini, che mi dice?
«La lottizzazione, in realtà, riguarda molto i telegiornali. Ma non hanno ancora capito che oggi, con la tv fatta di notizie di flusso – alla SkyTg24, alla RaiNews -, i tg costruiti così sono obsoleti: devono diventare, invece, approfondimenti di 10 minuti inseriti in quel flusso. Il resto della Rai è cinema, intrattenimento, fiction: è questo il progetto culturale. La Rai deve essere servizio pubblico, bisogna recuperare la funzione pedagogica, sennò a cosa serve? Questi invece riducono tutto a chi mettiamo alla direzione del Tg1 e del Tg2. Ma dài…».

Minoli, la fissazione del servizio pubblico. Sono anni che lei ulula alla luna la sua rivoluzione Rai. Ricordo che scrisse, richiesto, perfino un “Piano Minoli” che era peggio del Piano Solo, prevedeva 5000 esuberi sui 15mila dipendenti, il taglio delle produzioni esterne, la decapitazione degli agenti. L’ apocalisse.

«Ricordi bene. Oggi la Rai purtroppo invece di essere in mano a uomini di prodotto, è in pugno a una stratificazione di burocrati invincibili che commissionano i programmi ai soliti esterni. Così i 15 mila dipendenti restano l’ ultima stazione del welfare cattocomunista. Mi sai dire lassù, al settimo piano di viale Mazzini chi è in grado di fare una scaletta di programmi? Solo Freccero, forse. E non erano 5000 esuberi, forse di più. Serviva operare chirurgicamente, togliere le metastasi».

Rammento che in quel documento affioravano sprechi e spese inutili. Spending review feroce. Cottarelli le avrebbe stretto la mano.

«Ora, in Rai, vogliono rilanciare due loro programmi storici, La Corrida e Portobello. Sai da chi li compriamo i diritti della Corrida? Da Magnolia, un esterno. Ma ti pare possibile? Non siamo stati in grado di progettare nemmeno la proprietà delle nostra anima».

Però quel “Piano” scivolò in un cassetto dell’ allora dg Cappon. E nessuno lo tirò mai più fuori. Lo riscriverebbe?
«Certo. Ci deve essere un progetto di riforma forte e duro – una “Raivoluzione”, dico io – che tenga conto del mondo che cambia le sue coordinate geopolitiche, che non è più diviso in due blocchi fra Oriente e Occidente, ma a macchia di leopardo fra ricchi e poveri. E la gente è spaventata, guarda cosa è successo coi migranti, con l’ Aquarius. Ecco, la Rai deve assumersi il compito pedagodico appunto di spiegare, di far capire senza paraventi politici».

Tra un po’ scade il cda Rai, si torna al balletto delle nomine. L’ ennesima occasione per un palingenesi mai realizzata. Ha parlato del suo progetto di Rai con i “nuovi barbari”, Lega e 5 Stelle?
«Ne ho parlato a fondo sia con Salvini che con Di Maio. E soprattutto con Giorgetti. Mi pare che tutti siano d’ accordo sull’ indirizzo che deve prendere la rivoluzione. Certo, poi non posso dirti se una volta arrivati al potere entrino nella solita ottica spartitoria, le scelte degli uomini sono sempre insondabili quando si tratta del cambiamento».

Agostino Saccà, ex ottimo direttore generale della tv di Stato oggi produttore tv, rivela un’ inconsueta fiducia per la Lega: dice che è sposata alla Rai senza saperlo perché anche la Rai è nazionalista, antiglobalista e un tantino sovranista. È d’ accordo?
«Agostino dice in pratica quello che affermo anch’io: la soluzione è il Made in Italy declinato in tutte le modalità.
Perché la Rai è il racconto stesso del Paese. Noi non dobbiamo combattere la globalizzazione ma rimanere forti sul mercato raccontando le nostre radici. Ma ci vuole un’ azione dura, feroce, per disboscare la burocrazia. Hai presente Sergio Marchionne?».

Che c’ entra Marchionne?
«C’ entra. Serve il ritorno alle competenze soprattutto per fare esplodere tutte le potenzialità e la bellezza del Made in Italy. Marchionne è andato nella cineteca della Fiat e ha preso un vecchio documentario sulla 500. Da lì ha rilanciato l’ utilitaria in tutto il mondo e, con essa, la sua azienda. Noi, nella cineteca Rai, di 500 ne abbiamo 5000».

E Mario Orfeo ora al comando della Rai che futuro può avere nella futura Rai?
«Orfeo sta sulla linea di sopravvivenza. È entrato in modalità zen. Fa quello che può con quello che ha a disposizione, sapeva di essere a termine, ha retto la baracca, era difficile. Ecco, forse il caso Fazio è stato il suo problema e la sua dannazione: un’ operazione che non è stata caratterizzata da una grande visione».

Minoli, alla sua età – senza offesa, se li porta bene, ma è del ’45 – lei, onusto di gloria, ha presentato il suo curriculum per candidarsi come consigliere di amministrazione Rai. Ora, ci sono 239 candidature su 4 posti.

«Me l’ hanno suggerito le stelle. Credi che non sia un curriculum di uno competente? E dire che qualcosina, in tv , ho fatto…».

Ovvio. Non è questo, la domanda è: perché non presentare, allora, direttamente il cv come direttore generale, allora?
«Il dg lo nomina il cda. E lo può fare anche un membro del Consiglio, mica è vietato».

Capitolo La7. Come si è trovato con Cairo? Come vanno i Faccia a faccia?
«Benissimo, grazie. Dopo aver aiutato Giletti nella collocazione notturna molto dopo mezzanotte in replica, però vorrei riavere i miei spazi, se possibile. Ci siamo divertiti molto, anche, per dirti nel programmare la storie delle donne imprenditrici italiane, intervistate dalle fabbriche con Alessandra Cravetto, l’ ultima mia scoperta dopo Gabanelli, Giletti, Sagramola, Roversi, Buttafuoco, lo stesso Andrea Salerno, direttore di La7, e le altre decine che ho lanciato. Tutti diversi e spesso in disaccordo con me, ma questo è il segreto di una buona squadra».

A proposito di Giletti che deve riconfermare il suo contratto. Ha chiuso con buoni ascolti, anche se l’ ultima puntata con Fabrizio Corona è stato a parere di molti – me compreso – una colata di trash con un’ accanita predisposizione al trivio. Cosa pensa del suo allievo?
«Massimo si è trovato nella condizione scomoda di avere tutti gli agenti di spettacolo che gli hanno fatto cartello contro (vorrei vedere però, quanto costano per esempio, gli ospiti di Fazio). Quindi senza ospiti vip ha dovuto cercare formule nuove, il programma dura quattro ore. Spesso nella seconda parte ha superato i limiti del gusto. E, alla fine, il risultato a casa l’ ha portato».

Visioni future, da visionario?
«Dato che in questi anni mi sono molto allenato, mi piacerebbe provare a scendere di nuovo in campo».

Strano, non l’ avrei mai detto.

 

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